Antonio Sbardella, che portò Maestrelli sulla panchina della Lazio

Antonio Sbardella, che portò Maestrelli sulla panchina della Lazio

Antonio Sbardella, calciatore, arbitro e dirigente sportivo, nato a Palestrina, in provincia di Roma, il 17 ottobre 1925 e deceduto a Roma, a seguito di una lunga malattia, il 14 gennaio 2002. Portiere delle minori e direttore generale biancoceleste negli anni ’70.

Iniziò la carriera come calciatore, di ruolo portiere, nelle giovanili della Lazio. Ma fu una carriera che si concluse molto presto (in Serie C nell’Artiglio) a causa della doppia frattura di clavicola e omero, che lui definì come “un fortunato colpo di sfortuna”, intraprendendo la più fortunata carriera arbitrale. Negli anni ’60 e ’70, insieme a Concetto Lo Bello, Antonio Sbardella era il direttore di gara più importante della Serie A. Raggiunse il top della sua carriera di arbitro ai Mondiali di Messico ’70 dirigendo la finale per il terzo posto (Uruguay-Germania) perché l’Italia di Valcareggi gli sbarrò la strada della finalissima che avrebbe dovuto dirigere lui. E fu infatti premiato con il Fischietto d’Oro come miglior arbitro del torneo.

Conclusa la carriera di arbitro, Sbardella intraprese quella di dirigente sportivo, prima a livello di club con Lazio, fino al 1974, successivamente con Roma, per un periodo brevissimo, Triestina ed ancora Lazio (fino al 1983 come direttore generale), poi con la FIGC fondando e guidando la Divisione Calcio a 5, di cui era rimasto presidente, e in ultimo Presidente del Comitato Regionale Lazio della Lega Nazionale Dilettanti.

LA LAZIO

Antonio Sbardella è chiamato alla Lazio da Umberto Lenzini sul finire del maggio del 1971, in veste di direttore generale per ricostruire la squadra dopo la terribile stagione 1970/71 culminata con la retrocessione in Serie B. E invece fece molto di più, perché Antonio Sbardella è stato uno degli uomini chiave dello storico trionfo del ’74: fu lui a contattare Tommaso Maestrelli e a portarlo sulla panchina della Lazio. Uomo intelligente e di grande esperienza calcistica, riporta ordine in società e in squadra. Usa il pugno di ferro con Giorgio Chinaglia, deferendolo alla disciplinare quando chiese di essere ceduto, e sovente si scontra con Umberto Lenzini accusandolo di “buonismo”.

Con pochi mezzi economici a disposizione riuscì a costruire una Lazio irripetibile con tanti talenti irrequieti fino ad allora sconosciuti. Nei primi tempi però il gruppo non andava e Sbardella decise, di comune accordo con Maestrelli, di portare i giocatori in ritiro a Palestrina, all’Hotel Stella di Giustino Coccia che era un suo amico d’infanzia. E lì fece mettere sotto controllo tutti i telefoni delle stanze dei calciatori. Ebbene, si scoprirono un po’ di altarini. La domenica sera, dopo la partita, Maestrelli e Sbardella, dopo aver ascoltato le intercettazioni, riunirono tutti i calciatori e parlarono per circa due ore chiusi dentro uno stanzone. Da quel momento qualcosa cambiò..

In ambito di mercato, l’affare più importante per i destini biancocelesti condotto da Sbardella è probabilmente stato lo scambio con l’Inter tra Massa e Frustalupi (più conguaglio) nell’estate 1972. All’epoca tutti criticarono Sbardella: “ma come, ci priviamo di un gioiello come Peppiniello Massa per prendere quel ragioniere mezzo calvo che l’Inter non vede l’ora di mandare altrove?”. Lo sappiamo tutti, Mario Frustalupi fu una pedina imprescindibile nello scacchiere di Maestrelli che portò la Lazio per la prima volta a vincere il tricolore.  

Uno Scudetto che Sbardella non visse fino all’apoteosi di Lazio-Foggia del 12 maggio ‘74, perché lasciò la società biancoceleste prima della fine del campionato a causa delle numerose incomprensioni con il presidente Lenzini e per via del fallimento della cordata capeggiata dal consigliere Riccardo Riva che avrebbe dovuto rilevare la società, da lui caldeggiata e costruita. Non partecipò poi ai festeggiamenti per lo scudetto, e questa è la pagina che più intristisce della storia di Sbardella in biancoceleste. Appena rassegnate le dimissioni dalla Lazio, Anzalone, il presidente della Roma, gli fece allora una proposta che lui accettò. Ma dopo pochissimi giorni rassegnò le dimissioni. L’ostilità dell’ambiente giallorosso, certo, ma evidentemente non  si sentiva a casa sua. Perché casa sua era la Lazio.